Monogamia e psicoterapia

  • difficoltà relazionali e opportunità
  • monogamia e non-monogamie etiche
  • il ruolo della psicoterapia
  • nuove parole per trovare nuovi significati

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equilibrista su un filo
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Rivoluzionare le relazioni

Nella psicoterapia ci sono dei momenti che rappresentano delle vere e proprie rivoluzioni, talvolta silenziose e personali ma non per questo meno profonde.

Queste possono comportare la messa in discussione degli assetti relazionali entro cui ci muoviamo, offrendo l’opportunità di ripensare i principi che regolano il proprio rapporto con il mondo e con le altre persone, nella ricerca di un rinnovato benessere a fronte delle circostanze di vita che si stanno attraversando. 

Un esempio è quello che, in alcuni casi, investe il sistema di significati e pratiche che più influenza il nostro modo di relazionarci: la monogamia.

È possibile trovare uno spazio d’esistenza e benessere al di fuori dei suoi confini?

Monogamia e non-monogamie etiche

La monogamia è un sistema di relazioni che ha il privilegio di apparire “naturale” e quindi “ovvio”, tanto da presentarsi come l’unico possibile.

Esso è in realtà frutto di lunghi processi storico-culturali, che ne hanno comportato un mutamento nelle epoche e nei luoghi, definendo concetti quali amore, famiglia, tradimento e fedeltà.

Il principio su cui si fondano i rapporti monogami è quello dell’esclusività, sessuale e affettiva, supportato da un’idea di amore romantico come incontro fra due esseri umani che si completano vicendevolmente.

È bene chiarire fin da subito che non si tratta di essere o meno d’accordo con questa visione, quanto piuttosto di prendere coscienza del modo in cui la monogamia, se considerata l’unica modalità legittima di intessere relazioni amorose/sessuali, influenza i nostri rapporti e, qualora lo si valutasse utile per il benessere proprio e di chi ci circonda, considerare modalità differenti di dare forma alle proprie relazioni attuali.         

Negli ultimi anni i discorsi circa altre forme relazionali stanno entrando sempre più a far parte dei mezzi d’informazione e del quotidiano.

Queste vengono definite genericamente non-monogamie etiche, ma possono assumere forme differenti che si fondano imprescindibilmente sulla consapevolezza e sul consenso fra tutte le parti in causa. Il concetto di “etiche”, infatti, rimanda alla necessità di tutelare il benessere di ogni persona coinvolta, mantenendo costante la comunicazione delle proprie necessità e l’ascolto di quelle altrui.

Alcune delle più note sono il poliamore, l’anarchia relazionale, le cosiddette relazioni aperte e lo scambismo, ma queste assumono contorni differenti via via rinegoziabili e ridefinibili.    

Talvolta viene preservata una gerarchia di affetti, con relazioni primarie e altre in secondo piano, a volte vengono sanciti veti riguardo sessualità e/o emotività, altre si concorda cosa si vuole sapere e di cosa si preferisce non essere messi/e al corrente…per alcune persone questo cambiamento investe solamente le relazioni “romantiche” mentre per altre rappresenta un nuovo modo di considerare tutte le relazioni d’affetto e cura (come nel caso dell’anarchia relazionale, in cui i confini fra amicizia e relazione romantica si annullano del tutto, evitando l’uso di qualunque etichetta).

Nuove parole, nuove possibilità

All’interno di un percorso di psicoterapia capita spesso di sentir riportare difficoltà relazionali che appaiono insormontabili. Una domanda che molte persone pongono è, ad esempio: come far coesistere la volontà di preservare rapporti romantici ritenuti di valore con il desiderio di incontrare – emotivamente e sessualmente – altre persone, facendo i conti con gelosie e fragilità?

Per alcuni queste criticità si manifestano fin dall’inizio di un rapporto, per altri sono frutto di percorsi di lunga data che accompagnano l’evolversi di molte relazioni.

Nell’attività clinica, inoltre, si incontrano spesso persone coinvolte attivamente in relazioni che si potrebbero chiamare non-monogame e che, trovandosi sprovviste di parole e modelli a cui riferirsi, non le definiscono tali. Ciò è accompagnato dalla fatica a legittimare i propri desideri nonostante siano condivisi con il/la partner, vivendo con colpa e imbarazzo delle dinamiche che non si conformano a ciò che è socialmente ritenuto un rapporto di valore.

L’idea stessa di amore romantico, in cui la fiducia coincide con la fedeltà sessuale ed emotiva e il desiderio verso persone che non siano partner viene vissuto con allarme, concorre a promuovere un senso di inadeguatezza verso chi trova le maglie della monogamia troppo strette.

La convinzione che l’amore sia una questione a due è estremamente radicata nella nostra cultura, portando a vivere come legami di serie B i legami affettivi che contemplano un’apertura verso altri/e. 

Il mondo che abitiamo, infatti, è costruito a misura di coppia (chiusa) e sancisce il valore delle persone a partire dai nuclei relazionali che costruiscono, andando poi a coincidere con una grossa parte dell’identità personale. 

È possibile mantenere intimità, cura, fiducia e al contempo scegliere che queste non siano vincolate dall’esclusività? Si può identificare un altro confine fra amore e possesso, cura e potere? 

L’amore, per come lo pensiamo nel mondo odierno, è più vicino al narcisismo o ad una forma di sentimento che pone al centro la gioia della persona con cui stiamo? 

Ovviamente la risposta è troppo complessa per essere affrontata qui, e nel caso la si troverebbe in una zona sfumata fra questi estremi. 

È interessante, in ogni caso, riportare come puro spunto di riflessione una parola che ricorre spesso in contesti poliamorosi, ossia  “compersione”: con questa si indica la gioia, l’appagamento che si prova sapendo che il/la proprio/a partner sia coinvolto/a – felicemente – in relazioni con altre persone. 

A proposito di parole, la psicoterapia può rappresentare uno spazio dove trovare parole diverse per dare forma a un mondo nuovo, con confini tracciati secondo i propri vissuti, desideri e valori.

La grande opportunità è quella di poter costruire ex-novo le proprie relazioni esplicitando, condividendo e negoziando via via le forme che si vuole assumano, richiedendo però un processo di risignificazione che può essere doloroso – basti pensare alla complessità di mettere in discussione l’idea del pensarsi unico/a per qualcuno/a, così come del rivedere il fatto che vi sia una sostanziale differenza fra il “noi”, la coppia, e il resto del mondo. 

In realtà, a ben vedere, tutto ciò non viene necessariamente meno nel momento in cui vi è un’apertura del sistema-coppia, ma è richiesto uno sforzo per trovare nuovi modi di valorizzare i propri rapporti e la propria identità.

Lo spazio clinico può diventare luogo sicuro ove sperimentarsi, ripensarsi, esplicitare e normalizzare le difficoltà che emergono quando si attraversano cambiamenti di pensieri e comportamenti a cui si è socializzati/e fin dalla nascita. 

È arduo scegliere di mettere in discussione alcuni principi relazionali senza avere modo di dare un nome alle nuove forme che adottiamo, ed è per questo che le non monogamie etiche si pongono come riferimento per coloro che cercano altre possibilità di esistenza.

A volte è sufficiente una parola affinché prendano forma nuove realtà, una parola per darsi il diritto di esistere in modo differente, una parola che renda legittime e visibili le nostre scelte.

Per alcune persone questa potrebbe essere poliamore, per altre potrebbe continuare a essere monogamia ma dandole significati nuovi e flessibili, per altre ancora non mutare affatto.

In generale il discorso circa le forme di non-monogamia non vuole sostituire un modo prescritto di vivere le relazioni con un altro, ma permettere di immaginare elementi di flessibilità a partire dal tipo di relazione in questione, dalla fase di vita che le persone coinvolte stanno attraversando, dalle caratteristiche del contesto, dalla naturale evoluzione dei desideri e delle necessità di ciascuno/a.

Generalmente non è una pratica in sé a diventare problematica, quanto piuttosto l’idea che sia l’unica possibile. Liberarsi dal vincolo del “così van fatte le cose”, anche qualora non venga introdotto alcun reale cambiamento in termini di comportamento, può risultare dirompente.

Il/la terapeuta ha quindi il compito di approcciarsi in maniera non giudicante, diventando interlocutore e guida in un percorso che non ha una meta prevedibile e che la persona ha il diritto di definire.

Laddove le relazioni sembrano arenarsi nonostante siano comunque fonte di benessere, così come in qualunque situazione di difficoltà che può richiedere l’aiuto di un/una professionista, provare a esplorare altre forme di esistenza ricercando le parole per darvi consistenza può generare cambiamenti inaspettati, da attraversare con coraggio, insieme.

Autore: Tobia Berardelli

Laureato in Psicologia Clinico-Dinamica, formatore in ambito scolastico

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